Ucraina e le altre guerre. Paola Bergamo.
World War I
date: 28/7/1914 (28+7+19+14=68)
World War II
date: 1/9/1939 (1+9+19+39 =68)
Invasion of Ukraine…
date: 24/2/2022 ( 24+2+20+22=68)
Il numero 68 ci si disvela quale somma matematica delle date di tre eventi di portata storica. Ciò rimanda all’idea che nulla accada per caso quasi che tutto si sviluppi, si perpetri e si ripeta secondo uno schema nel quale ci sia un codice matematico di richiamo, o che dir si voglia di tracciamento, in cui si cristallizza nel suo “continuum” il peregrinare dell’ uomo nella sua storia.
Ci sembra di cambiare, di progredire, di toccare alte vette, penso al pensiero filosofico e certo anche alle scienze che hanno fatto passi da gigante rendendo più agevole il vivere quotidiano dell’uomo. Tuttavia è rimasto immutato e tremendo il nostro incedere con dinamiche riconducibili ad un’indole che poco ha a che fare con le alte vette del pensiero. Ciò ci disarma perché, al di là dei principi cui ci richiamiamo, riaffiora prepotente quella parte del carattere umano in bilico tra il bene ed il male. La guerra in Ucraina porta a riflettere.
Non mi soffermo sui concetti legati al “bene” e al “male”, piuttosto richiamerò i concetti di ingiustizia e prevaricazione che solitamente abborriamo. Il nostro tempo ci si rivela per quello che è ed il suo scorrere ci ricatapulta in dinamiche distorte dalle quali pensavamo di esserci smarcati . Ma la verità è che esse sono “parte” di quell’ “intero” che caratterizza la nostra “esistenza” . Appare così anche più chiaro che il tempo, in fondo un artifizio, si dispiega per noi e tra noi solo attraverso immutabilità di cui paradossalmente la ripetizione ne è funesto emblema così come la somma algebrica che ha sembrato trovare nel numero 68 sua espressione “rivelatoria”.
Sicchè non dovremmo stupirci affatto del fatto “ritornante”come un Fato , perché questo è ciò che “E’ ”.
A questa logica non sfugge la guerra in Ucraina .
Godrey Harold Hardy
Si dice che il tempo è una costruzione, in realtà non esiste. Allora anche i numeri, con cui lo misuriamo, non sono la Realtà. “Se si potesse dare una definizione convincente della realtà matematica, si risolverebbero molti tra i problemi più difficili della metafisica”. Se si riuscisse a includere la realtà fisica li si sarebbe risolti tutti” ( Godrey H. Hardy).
Godrey Harold Hardy, famoso per il suo contributo alla teoria dei numeri e analisi matematica, fu grande estimatore della matematica pura ma finì per diventare il fondatore inconsapevole della matematica applicata .
Tentò il suicidio. Dopo questo evento scrisse il suo capolavoto “Apologia di un matematico”.
Godrey Harold Hardy
“….Non ho mai fatto nulla di “utile”. Nessuna mia scoperta ha fatto o potrebbe fare, direttamente o indirettamente, nel bene o nel male, la differenza per la piacevolezza del mondo.”
La piacevolezza del mondo! In fondo quello che ricerchiamo è rivolto a rendere meno gravoso, meno penoso il vivere e quindi ha un fine utilitaristico e nel contempo paradossalmente sfuggendo al principio di giustizia ed equità complica in modo sempre più sofisticato il nostro vivere. C’è che noi sovrastrutturiamo di continuo dimenticando l’elemento di base che riposa nel vivere in concordia .
Ma quali sono le cose che contano davvero? Ecco che già l’uso della lingua ci riporta ad un concetto numerico: contare! Mentre abbiamo appena detto che la matematica probabilmente non è sufficiente.
Un altro grande matematico Kurt Friedrich Goedel , peraltro filosofo, ritenuto uno dei più grandi logici insieme ad Aristotele e Gottlob Frege ( padre della moderna logica matematica), arrivò a formulare i due “Teoremi di incompletezza” per i quali ogni sistema assiomatico consistente (cioè privo di contraddizioni) secondo l’aritmetica dei numeri interi è dotato di proposizioni che non possono essere dimostrate né confutate sulla base degli assiomi di partenza.
Parafrasando : se un sistema formale è logicamente coerente la sua non contraddittorietà non può essere dimostrata stando all’interno di quel sistema logico. Quindi la coerenza del sistema poggia proprio nella sua indimostrabilità.
I teoremi della incompletezza hanno riscosso grande interesse per le possibili interpretazioni extra matematiche quali critica alla ragione formale, dimostrando un limite alla stessa .
Goedel riteneva gli stessi teoremi quali conferma del platonismo convinto che la Verità, essendo qualcosa di oggettivo, cioè indipendente dalle costruzioni effettuate nelle dimostrazioni dei teoremi, non può essere posta a conclusione di alcuna sequenza dimostrativa.
E’ passato alla storia anche per l’ “Ipotesi del continuo”, ed ecco che così ritorno all’incipit di questa mia riflessione. Riuscì a dimostrare che essa non può essere confutata dalla teoria degli insiemi. Similmente a Parmenide, egli concepiva la logica formale come unita indissolubilmente ad un contenuto sostanziale . Elaborò una teoria dell’Universo ruotante su sé stesso ( l’Universo di Goedel) . Su questa via arrivò nel 1970 a dimostrare “l’esistenza di Dio”, inteso come Ente che somma in sé tutte le qualità positive di un dato insieme ( prova ontologica di Dio). La sua esigenza era di trovare un ordine logico-matematico da porre a fondamento dell’esistenza dell’Universo sostenendo che “Dio esiste necessariamente”. Morì però dannadosi nella consapevolezza di non esservi riuscito. Un corollario dei suoi due teoremi comporta che la coerenza di un sistema derivi dal fondamento unitario di un metasistema. Applicato al discorso teo-logico, ciò importa necessariamente la trascendenza di un Dio, ammesso sempre che ci sia .
Questo pertanto è il limite della matermatica su cui si basa la logica aristotelica dell’ identità, della non contraddizione e del terzo escluso. Terzo, invece, che non è affatto escluso dalla logica presocratica e scettica. Il vento, così come lo Spirito, l’Impulso, o l’Ardore che dir si voglia, soffia dove vuole e non c’è logica che tenga. Non saranno i “termini” numerici e fisici in cui siamo immersi e rinchiusi che ci permetteranno di riconoscerlo.
Perciò tutte le narrazioni volte a disvelarci un Dio finiscono per infrangersi pur nel loro tentivo consolatorio che ad ogni modo, qualunque “narrazione” essa sia, stride con quanto appare in questi giorni ai nostri occhi dove tutto il sistema sofisticato e sovrastrutturato che siamo riusciti a costruire urta con le più elementari regole di convivenza e sicurezza del nostro vivere.
E’ come se fosse in atto un cortocircuito generale che rischia di aver innescato un incendio la cui portata sarebbe capace di generare una resa dei conti totale. Non so se la matematica ci possa aiutare, finalmente, a ricercare la “formula del buon senso”. Tra tutti gli algoritmi, sembra che quello di giustizia tra le genti e per le genti non sia ancora stato scovato e sembrano imperanti e insuperabili gli stimoli arcaici. L’Umanità ha raggiunto un acme di riflessioni, invoca alti principi, rincorre quello di Fratellanaza Universale, di Autodeterminazione dei popoli, di Comunità di Destino che dovrebbe tutti indurci ad operare armonicamente e armoniosamente per il bene di tutte le genti che popolano il pianeta. Ed invece ci ritroviamo nel XXI secolo a temere se sia l’Intelligenza Artificiale il vero pericolo per l’uomo quando è chiaro che è l’uomo stesso un pericolo anche per l’intelligenza artificiale! Non riusicamo a correggere la nostra indole .
Silvano Danesi
“Oligarchi e filantropi sono alcuni dei volti osceni della contemporaneità e tra di loro non esiste una sostanziale differenza, ma una sostanziale identità. Con loro, in buona compagnia, ci sono pure i Silovik”.
Questa è l’amara riflessione di Silvano Danesi dalle pagine di questo stesso giornale riguardo alla crisi ucraina.
Ma io mi chiedo, pur nelle diverse circostanze succedutesi nel tempo quand’è che non è stato così.
E’ che purtroppo ora tocca di nuovo a noi: il declino riguarda la nostra civiltà, la nostra cultura.
Eppure non dobbiamo dimenticare che almeno 4000 anni fa la civiltà del mondo allora conosciuto arrivò da quell’Oriente che ora sembra far così tanto paura.
Oggi le stime predicono che entro il 2030 l’Occidente ( Usa, Europa, Sati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda) produrrà solo un terzo del Pil mondiale, mentre gli altri due terzi saranno prodotti dal resto del mondo (Cina in testa).
Giovanni Tria dalle pagine del Sole 24 ore, avvisa che è in atto l’ inversione di quel processo che vedeva l’Occidente produrre il 70% del Pil Mondiale, processo durato 100 anni e nel quale però ci sono state due guerre mondiali.
Ora a noi non resta che scegliere se l’inversione del processo in atto lo vogliamo esperimentare e condurre sulla nostra pelle attraverso la guerra o attraverso il dialogo tenuto conto che, però, il mondo oggi è tutto più interconnesso ed interdipendente di un secolo fa.
Le previsioni sono per l’appunto tali e basta il verificarsi di una variabile imponderabile per scomporre ogni puzzle. Quello che è sconcertante è che pur sapendo che siamo una Comunità di Destino si è involuto il principio di cooperazione e si è rafforzato quello di competizione che, esasperato, genera conflittualità.
Quale può essere la soluzione? Il richiamo al principio di interesse globale fondamentale per rimettersi a tavolino e verificare le condizioni per la pace che passano per il riconoscimento di un sistema che garantisca “reciproca sicurezza”. Lezione che ci viene impartita in questi giorni dalle dichiarazioni dalla Cina.
Appare evidente come Cina, Usa ed Europa siano i protagonisti che potranno riportare “ordine” nel caos della questione Russo- Ucraina che riesuma incoscientemente pericolosi fantasmi di un passato, non poi così lontano, che devastò e gettò nel buio più atroce l’Europa. Bravura vera sarà fermare chi soffia sul fuoco e che ha tutto da guadagnare dalla guerra. Sono gli interessi che si accompagnano a certa grande finanza, quella dei cosiddetti filantropi che hanno contribuito a creare un sistema ingiusto gravemente squilibrato che non regge più, che ha minato l’equilibrio raggiunto con lo stato sociale sempre più risicato e che pure è stato una grande conquista di civiltà.