Roma. Fake news, disinformazione e guerra in Ucraina. Una intervista all'On. Alberto Pagani
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Una intervista all’On. Alberto Pagani

 

Alberto Pagani, deputato dal 2013, è capogruppo PD in commissione Difesa della Camera e componente della delegazione italiana all’Assemblea Parlamentare NATO, docente ed autore di Manuale di intelligence e servizi segreti.
GC: Da ormai più di tre mesi riceviamo quotidianamente e da fonti diverse informazioni discordanti sulla guerra in Ucraina. Si dice che la prima vittima della guerra sia sempre la verità. Siamo spettattori di una “guerra dell’informazione”?
AP: Certamente, è una guerra psicologica, viene chiamata infowarfare e si combatte con operazioni psicologiche, le cosiddette PsyOps, che utilizzano diverse strategie e diversi media per manipolare l’opinione pubblica, sia quella interna che quella avversaria. Il sentimento dell’opinione pubblica è determinante in guerra, e l’uso della disinformazione serve a produrre la situazione più favorevole. Il generale Gerasimov, Capo di Stato Maggiore della Difesa russa, lo chiama “approccio olistico al danno” ed integra nella guerra asimmetrica le milizie irregolari con l’attacco degli hacker e quello dei troll.
GC: Nel suo manuale scrive che le fake news non sono una novità in tempi di guerra. Mi può fare un esempio di fake news del passato?
AP: Le bugie esistono da quando l’uomo ha imparato a parlare, e si usano nel campo bellico da quando esiste la guerra. Rispetto al passato la differenza sta negli strumenti offerti dall’innovazione tecnologica, perché i social network sono molto più efficaci dei volantini che lanciava Gabriele D’Annunzio dall’aereo, nel suo folle volo su Vienna. Anche nella Grande Guerra si usarono le fake news per screditare e produrre odio verso il nemico. Lo scopo era ottenere il supporto della popolazione e motivarla a combattere. Le fake news sulla fabbrica dei cadaveri, secondo cui i tedeschi avrebbero prodotto sapone usano i corpi dei soldati francesi e inglesi, o quella delle violenze sui bambini del Belgio occupato, colpirono così profondamente la fantasia popolare da produrre stereotipi che durarono molto più lungo della guerra.
GC: In questo caso si parla molto della disinformazione russa, ma in fondo non è che la prosecuzione dell’antica dezinformatsia sovietica?
AP: La scuola da cui deriva è quella, ma gli strumenti moderni sono molto più efficaci, e le tecniche più evolute. In realtà anche la disinformazione sovietica proveniva dall’esperienza dell’Ochrana, la polizia segreta zarista, che fu istituita nel 1881 e che commissionò i “Protocolli dei Savi di Sion”, un presunto piano ebraico per conquistare il mondo. Riciclarono materiale vecchio, di un autore satirico francese, per fare credere che gli ebrei avevano elaborato nel primo congresso sionista, a Basilea nel 1897, questo documento che rivelava le loro vere intenzioni. Quel falso non ha alimentato solamente l’antisemitismo dell’epoca, perché è ancora preso sul serio a livello ufficiale in vari paesi islamici, dall’Iran all’Arabia Saudita, dall’Egitto al Libano. In italia questi argomenti falsi sono stati utilizzati da gruppi estremisti di destra come Forza Nuova e Casa Pound, ma anche da Alternativa sociale, dal Movimento Idea sociale, dal movimento sociale Fiamma tricolore. In passato persino qualche sprovveduto parlamentare grillino ci è cascato, e ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Umberto Eco scrisse uno splendido romanzo, Il cimitero di Praga, nel quale narrò la storia di un agente segreto e falsario che aveva scritto un falso documento sulla congiura ebraica utilizzando proprio il Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu, di Morice Joly, che aveva davvero ispirato i Protocolli. Consiglio di leggere il romanzo, è attualissimo.
GC: Come mai una fake smascherata continua ad esercitare la sua nefasta influenza anche dopo che è stato accertato in maniera palese che si tratta di un falso?
AP: …perché la gente crede quel che vuole credere, è la risposta che mi viene d’istinto. Nel 1976 appare in Italia un volantino ciclostilato, a firma di un sedicente ospedale di Villarjuif, specializzato nella lotta ai tumori, che indicava le merendine, le bibite e le caramelle contenenti pericolosissimi additivi alimentari, che però sono sostanze del tutto innocue, come il caramello o l’acido citrico, nella realtà. I giornali scandalistici diedero credito a questa baggianata, e quando le autorità sanitarie smentirono la fondatezza di quelle informazione era già tardi. In Francia, dove esiste realmente il centro oncologico di Villejuif (e non Villarjuif ndr), i responsabili dichiararono di non aver mai compilato alcuna lista di additivi alimentari cancerogeni. Ma quando i media tentarono di ritrattare le notizie date in precedenza furono accusati di insabbiare la verità e la leggenda acquistò ancora di più credito, tra i consumatori più predisposti al complottismo, creando problemi seri anche ad aziende solide come la Campari. Molti anni dopo l’introduzione della posta elettronica ha dato nuovo slancio a questa storica fake news, rimettendola di nuovo in circolazione. Il punto, a mio parere, è che ci sono consumatori che hanno sinceramente a cuore la salute e pensano che l’industria alimentare, per lucrare maggiori profitti, utilizzi senza scrupoli sostanze nocive, per cui sono già predisposti a credere ad una bugia che conferma il loro convincimento preesistente. Con l’olio di palma è successa la stessa cosa, solamente in Italia, perché nel resto del mondo nessuno si è mai posto alcun problema.
GC: D’accordo, ma sicuramente quel volantino è stato pensato, scritto e stampato da qualcuno; probabilmente dietro queste vicende c’è una strategia ben precisa di guerra economica, e la disinformazione è orchestrata scientificamente per produrre un danno ad un’azienda concorrente, o ad un Paese. Non crede?
AP: Che io sappia in questo caso non si è mai scoperto il progenitore, quello che ora chiameremmo il “paziente zero”, ma credo anch’io che sia così. Ci sono tanti casi che rivelano un interesse economico dietro una falsa notizia. Nel 1998 la rivista medica britannica The Lancet pubblicò un articolo relativo ad un disturbo dello sviluppo nei bambini, firmata dal medico inglese Andrew Wakefield, che correlava il vaccino MPR e lo sviluppo di disturbi dello spettro autistico. Un’inchiesta giornalistica e le indagini successive dimostrarono che Wakefield aveva falsificato i dati perché aveva ricevuto finanziamenti da avvocati che si occupavano di cause legate a presunti danni da vaccino, per avere basi scientifiche da usare come prova in tribunale. Questo scandalo è tuttora ritenuto uno dei più famosi della ricerca bio-medica, Wakefield fu radiato dall’ordine dei medici, ma il clamore prodotto dal suo falso aveva orami generato un’altra leggenda metropolitana, quella in cui credono tutti gli attivisti dei movimenti no-vax. Quando arrivato il Covid-19 il terreno era già fertile, dissodato negli anni da questi movimenti, e sono germoliati facilmnete i discentendi no-vax e no green pass che tutti conosciamo. Naturalmente c’è chi ha sapientemente concimato perché le crescesero bene. Pare che la campagna no-vax che ha spaventato la maggior parte delle neo mamme ucraine sia stata alimentata da troll russi, ad esempio.
GC: Ecco, questo ci riporta al nostro focus iniziale. Si tratta quindi di una campagna di disinformazione collegata alla guerra?
AP: No, questa non è un’appendice esterna della guerra, è la guerra. Le guerre asimmetriche del nostro tempo sono necessariamente di natura ibrida. Già negli anni novanta del secolo scorso Qiao Liang e Wang Xiangsui, due colonelli dell’aeronautica militare cinese, parlavano di guerra senza limiti, e sostenevano che nelle guerre contemporanee il concetto di sistema d’arma, e quindi di soldato, va ripensato, perché deve includere i malware informatici, le notizie false e destabilizzanti, le valutazioni delle agenzie di rating, il terrorismo religioso come quello finanziario. Profeticamente definirono Soros un terrorista finanziario e Bin Laden un soldato del nuovo tempo, ma non c’erano ancora stati gli attacchi dell’11 settembre 2001. Il punto è che nella guerra di oggi non si usa una di queste armi, piuttosto che l’altra, ma si impiegano tutte insieme.
GC: I russi hanno adottato queste idee mutuate dai militari cinesi?
AP: Chissà, forse sono arrivati alle stesse conclusioni seguendo la loro strada. Di fatto però la dottrina Gerasimov della guerra ambigua e non lineare non fa altro che riproporre questa idea. Nel suo concetto strategico, che si deduce dall’intervento che pubblicò sulla rivista militare russa VPK nel 2013, quando Putin lo nominò Capo di Stato Maggiore della Difesa, sostiene che “nuove sfide richiedono un ripensamento delle forme e dei metodi delle operazioni di combattimento” nelle zone grigie delle guerre non dichiarate. L’insieme delle leve politiche, economiche, diplomatiche, umanitarie, cibernetiche, informative, va sfruttato in modo coordinato al “potenziale di protesta della popolazione”. Pochi mesi dopo diede prova dell’efficacia strategica della sua dottrina perché ci fu l’occupazione della Crimea, l’operazione di guerra ibrida lampo più stupefacente che si fosse mai vista, con la quale la Russia riuscì ad annettere alla sua federazione quella penisola dell’Ucraina senza sparare un colpo. Un capolavoro militare che lasciò di stucco l’Occidente, bisogna ammetterlo.
GC: Come mai l’Occidente fu colto di sorpresa da quest’azione russa?
AP: Non lo so. O meglio non so rispondere alla domanda implicita che è contenuta in questa che mi hai fatto: le agenzie occidentali avevano fornito intelligence ai decisori politici, ipotizzando questo scenario? Se questa evoluzione delle tensioni Ucraine non era stata prevista dobbiamo ammettere che la strategia e la tattica russa furono eccellenti, perché riuscirono ad occultare le reali intenzioni ed ottennero il risultato voluto. In caso contrario, se il decisore politico era informato del rischio che la Russia avesse orchestrato disordini in Crimea, per avere così il pretesto per inviare i famosi “omini verdi”, senza insegne sulla mimetica, ed annettere la Crimea con un plebiscito farlocco, simile a quello che usò Hitler per l’annessione dell’Austria, il giudizio deve essere diverso. In questo caso, se i Capi di Stato non hanno voluto credere che fosse possibile che Putin lo facesse davvero, vuol dire che ha prevalso il vecchio detto secondo il quale “occhio non vede e cuore non duole”.
GC: In che senso?
AP: Ripeto, non so come siano andate le cose, ma se fosse così dovremmo concludere che i nostri politici non credettero a quel che non volevano credere, perché le relazioni economiche e commerciali con la Russia erano talmente importanti che non ritennero opportuno comprometterle sulla base di un’ipotesi previsionale incerta, o che sembrava inverosimile. Non sarebbe la prima volta nella storia che il potere politico non crede ad intelligence che non corrisponde alle proprie convinzioni, ma poi se ne paga sempre un prezzo. Stalin ricevette da Richard Sorge, che era la migliore spia che aveva in Giappone, informazioni molto dettagliate e precise sull’operazione Barbarossa, con la quale Hitler avrebbe invaso la Russia. Non gli credette perché lo spionaggio sovietico in Germania lo informava che l’esercito tedesco non si era preparato ad affrontare l’inverno russo, non era provvisto di abbigliamento abbastanza pesante e non aveva lubrificante per le armi adatto alle temperature più rigide. Era vero, infatti Hitler confidava nella blitzkrieg, la guerra lampo, e pensava di arrivare a Mosca prima dell’inverno. Per fortuna fu costretto a perdere quasi due mesi per aiutare il suo alleato Mussolini, che si era inguaiato in Albania, con lo stupido progetto di “spezzare le reni alla Grecia”. inoltre quell’anno arrivò l’inverno prima del solito, altrimenti ce l’avrebbe fatta, e la storia avrebbe preso una brutta piega. Clausewitz avrebbe detto che Hitler fu tradito dall’attrito, speriamo che a Putin capiti la stessa cosa.
GC: E’ il secondo parallelismo che fai tra la Germania hitleriana e la Russia. Eppure Putin sostiene che vuole denazificare l’ucraina…
AP: Quest’ultima è solo una sciocchezza propagandistica. La verità è che ci sono davvero molte similitudini tra i due regimi dittatoriali: Hitler e Putin sono due autocrati alla guida di sistemi autoritari, che hanno un disegno politico imperialista ed una postura fortemente assertiva. Entrambi godono di ampio sostegno popolare, costruito da una potente macchina di propaganda, che manipola l’opinione pubblica. La propaganda si alimenta con il culto della personalità, la retorica dell’uomo forte al comando, e con la narrativa nazionalista, basata sullo spirito di rivalsa per le umiliazioni subite e sulla costruzione artificiale di nemici interni ed esterni. Il potere è totalitario ed accentrato nelle mani del capo, non esiste alcun bilanciamento dei poteri dello Stato, come nelle democrazie. Non esiste un’opposizione libera, né la stampa libera, né una magistratura indipendente. La legalità è fasulla, perché la legge vale solo per qualcuno, mentre altri sono al di sopra della legge. Il confine tra lo Stato e la criminalità diventa quindi permeabile, perché gli uomini dello Stato possono delinquere per difendere il potere, e perché alcuni criminali sono protetti dallo Stato stesso. E poi, senza dubbio, una delle similitudini principali tra la dittatura nazista e la democratura putiniana è la macchina della propaganda.
GC: Credi che la propaganda Russa e quella nazista siano simili? Perché?
AP: Dietro Hitler c’era il “diavolo zoppo”, Joseph Goebbels, che sosteneva che “la propaganda non deve essere intelligente, deve avere successo” ed arrivò a controllare tutti i settori dell’industria culturale tedesca, dai giornali, al cinema, alla radio. La sua propaganda era orchestrata su poche idee ripetute all’infinito, si diffondeva per contagio e si basava sulla semplificazione e sulla costruzione del nemico, sull’esagerazione, sulla trasposizione, sul travisamento, sulla volgarizzazione e sul silenziamento delle voci dissonanti. La propaganda di Putin utilizza tecniche simili con gli strumenti di oggi. Il Rasputin del Cremlino si chiama Vladislav Surkov, ed è stato per vent’anni il regista del grande teatro della politica e dell’informazione russa. Mentre un potere politico spietato ordinava l’omicidio di giornalisti liberi e scomodi come Anna Politkovskaja e l’avvelenamento e poi l’arresto dell’oppositore politico Aleksej Naval’nyj, il Deus ex machina che ha organizzato la patetica opposizione finta a Russia Unità era Surkov.
GC: In che senso ha organizzato l’opposizione finta?
AP: Nel senso che è lo sceneggiatore ed il regista che ha inventato e diretto i partiti estremisti, guidati da personaggi improbabili, paonazzi ed isterici, in modo che l’unica opzione ragionevole per l’elettore medio fosse votare per Putin. E’ lui che ha orchestrato tutto quello che deve scrivere la stampa, passare in televisione, circolare sui canali internet. Surkov ha sapientemente costruito l’immagine carismatica di Putin, trasformando un grigio funzionario del KGB nell’icona eroica della nazione russa, che cavalca a torso nudo, va a caccia, a pesca, nella paletra di judo, fotografato, pubblicato, postato sui social network e…. stampato sulle magliette, come sa bene il nostro Salvini. Surkov ha portato il nazionalismo russo ortodosso e l’immagine di Putin nei contesti più impensabili, nei i tatuaggi dei lupi di mezzanotte, che sono l’equivalente russo dei motociclisti Hells Angels, ed ha ideato il movimento giovanile putinano Nashi, che significa “i nostri”, ed è l’equivalente russo della gioventù hitleriana. Insomma, per non vedere delle similitudini con il nazismo bisogna essere ciechi, o veramente molto ottusi.
GC: Dunque torniamo alla propaganda in rete, alle fake news, alla costruzione della disinformazione ed alle strategie per propagarla.
AP: Nei primi tempi i social network erano un luogo ostile per il Cremlino, nel quale era difficile controllare l’informazione. Intimidire o corrompere un direttore della tv, di un organo di stampa, o un giornalista è relativamente semplice, ma farlo con milioni di utenti dei social network è molto più difficile. Non si può più controllare e perseguitare tutti con la polizia politica, come faceva la Stasi ai tempi delle DDR, è troppo costoso e poco efficace, nel tempo della comunicazione istantanea. E allora bisognava inventare qualcosa di nuovo, più adatto ai nuovi mezzi, al nuovo ambiente comunicativo. E’ così che nasce la fabbrica dei troll, la Internet Research Agency, un esercito ombra di psico-guerrieri che combatte quotidianamente la guerra dell’informazione sulla rete. Dietro questa azienda c’è l’oligarca Evgenij Prigozhin, lo stesso dell’esercito mercenario privato Wagner Group, detto lo chef di Putin perché si è arricchito con la ristorazione, ed ha investito il denaro guadagnato grazie al Cremlino in attività utili a sdebitarsi con chi lo ha aiutato. Negli uffici dell’IRA, da Mosca a Sanpietroburgo, lavorano giorno e notte brigate del web che diffondono bufale, spargono semi-verità ingannevoli, producono contenuti divisivi, materiale propagandistico, ed interagiscono con gli utenti, aggrediscono, intimoriscono, insultano, avvelenano il dibattito. I profili falsi sono gestiti da impiegati pagati bene, ma a cottimo, secondo un tariffario ben preciso, in base ai contenuti che producono ed ai risultati che ottengono. Il loro lavoro poi è potenziato, moltiplicato per mille, dalle macchine, i cosiddetti bot, che riproducono e diffondono automaticamente questi contenuti diretti a manipolare l’opinione pubblica. Un lavoro che ha dato risultati straordinari.
GC: Ma questa attività di propaganda è rivolta al popolo russo o viene proiettata anche fuori?
AP: All’inizio era pensata per il “mercato interno”, se così si può dire, ma visto che funziona molto bene, poi è stata sperimentata anche nella proiezione esterna. I produttori di materiale informativo propagandistico, come Russia Today o Sputnik news, sono stati ripensati per l’esportazione, con volti internazionali e nelle diverse lingue, e poi la fabbrica dei Troll ha cominciato ad operare nel mondo, dove era funzionale agli interessi del Cremlino, per sostenere i suoi amici politici, o alimentare malessere, dissenso, proteste contro i Governi avversari. Utilizzando moderni e sofisticati software analitici è stato possibile ricostruire la diffusione reticolare di notizie false, contenuti ingannevoli, propaganda spicciola, e rinvenire le “impronte digitali” dei troll russi nei luoghi più impensabili: a sostengo di Duterte nelle Filippine, di Bolsonaro in Brasile, degli indipendentisti catalani, dei gilé gialli in Francia, dei sovranisti in tutta Europa, di Donald Trump negli Stati Uniti, della Brexit.
GC: Ma come funziona questa macchina della disinformazione, in pratica? Come può condizionare il risultato di un referendum come la Brexit?
AP: La strategia più efficace per produrre risultati significativi è veicolare messaggi falsi, o ingannevoli, per rafforzare opinioni già esistenti in una parte dell’opinione pubblica, che però non ha ancora maturato un convincimento preciso. Il direttore del Center for Neural Minds and Society, George Lakoff, sostiene che il nostro comportamento e le nostre opinioni non sono frutto di ragionamenti analitici articolati, ma riconducibili a cornici mentali che chiama frame concettuali che si rifanno a visioni del mondo ed all’idea di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, che sono diversi da persona a persona. La maggior parte di noi è biconcettuale, cioè adotta frame diversi e contradditori, che si attivano inibendosi a vicenda. La propagnda martellante spinge alla dominanza di uno ed all’inibizione del suo opposto. Chi ha una minima propensione xenofoba, ed anche una visione solidaristica ed umanista, ad esempio, può diventare una facile preda di un’operazione psicolica ben congegnata: se viene bombardato quotidianamente con notizie sulla cosiddetta invasione dei migranti, sui crimini commessi dagli immigrati, sull’islamizzazione dell’occidente, si convincerà facilmente delle tesi proposte dai partiti politici simpatizzanti di Putin, il suo spirito solidarista e la sua propensione all’accoglienza ne saranno inibite, e diventerà a sua volta un propagandista indignato ed un moltiplicatore della disinformazione che lo ha convinto.
GC: E per quale ragione Putin deve impegnare risorse per condizionare la politica di altri Paesi, anche lontani come quelli che hai detto?
AP: Per derivarne un vantaggio per la Russia, è ovvio. A lui non importa nulla del destino di un qualsiasi leader sovranista occidentale, lo considera solamente un “utile idiota”, come si diceva nella tradizione sovietica, dalla quale proviene. Se si rafforzano in occidente gli amici sovranisti della Russia le democrazie occidentali diventano più deboli, divise, e per la Russia sarà più semplice fare i propri comodi. Non è un caso che le forze politiche su cui ha puntato Putin sono proprio quelle della destra nazionalista e sovranista, o quelle populiste, quelle contro l’Unione Europea, o contro la NATO. Se si rafforzano queste posizioni si indeboliscono quelli che Putin considera suoi nemici, e nei parlamenti nazionali cresce la voce di coloro che portano avanti gli interessi della Russia. Basta guardare in Italia chi ha sostenuto l’inutilità delle sanzioni economiche alla Russia e l’opportunità di revocarle. Alla fine i conti tornano sempre, e tutto diventa chiaro, se non ci si ferma alla superfice. Investire risorse per ottenere questi risultati per Putin è molto vantaggioso. Non costa poi così tanto, se lo si mette in relazione ai vantaggi che può produrre.
GC: Ma le vittime della propaganda non si rendono conto di essere strumentalizzate per obiettivi che nulla hanno a che vedere con le idee di cui sono convinte?
AP: No, è questo il bello. Una buona campagna di manipolazione deve essere invisibile. A volte vengono combinati diversi strumenti comunicativi, non solamente i social network, e le tracce dei veri autori vengono accuratamente mascherate. Possono esserci anche operazioni sotto falsa bandiere, come si dice in gergo. Ho visto ad esempio affissi manifesti con l’immagine del papa ed alcune sue frasi pacifiste, estrapolate dal contesto. Alle affissioni li ha portati un associazione legata all’estrema destra. L’anziana signora che esce da messa e vede il manifesto non capirà mai che in realtà è Putin che parla, travestito da Papa Francesco. Il fatto è che l’efficacia di questa manipolazione è legata al fatto che chi viene manipolato non si accorge mai di essere vittima di operazioni psicologiche molto sofisticate, che utilizzano le tecniche della programmazione neurolinguistica e della cosiddetta psicologia nera, che serve per influenzare, persuadere e manipolare le menti. Quello che noi abbiamo sottovalutato, perché non lo avevamo capito, è che si tratta di un’arma che mina davvero il funzionamento libero e corretto delle democrazie liberali, quindi di una vera e propria minaccia per l’Occidente.
GC: Quindi sostieni che le vittime designate delle fake news non sono le persone a cui sono rivolte, ma le democrazie dei Paesi Occidentali?
AP: Le persone che abboccano non sanno assolutamente di essere vittime di una manipolazione, sono convnite di aver maturato le loro idee autonomamente e liberamente, altrimenti non abboccherebbero. E’ così che funziona. Ci sono decine di ricerche che evidenziano che la nostra diffidenza, le nostre difese contro l’informazione ingannevole, sono molto abbassate quando stiamo sui social, di più rispetto ai media tradizionali. Quando guardiamo il TG pensiamo che le notizie potrebbero essere date in maniera distorta per orientarci verso una direzione politica piuttosto che un’altra. Infatti ci capita di pensare che un giornalista non sia abbastanza imparziale, o che sia palesemente fazioso. Sui social, quando leggiamo distrattamente una notizia condivisa da un nostro amico, c’è una sospensione maggiore dell’incredulità, perché siamo portati a trasferire la fiducia verso l’amico che ha condiviso la notizia sulla fonte da cui essa proviene, che non conosciamo affatto. In altre parole è molto più facile ingannare le persone diffondendo notizie false sui social, perché si tratta di un ambiente in cui siamo immersi continuamente. Controlliamo le notifiche e diamo un’occhiata a fb decine o centinaia di volte al giorno, interrompendo altre attività, e mentre lo facciamo siamo più distratti, e quindi più vulnerabili. Come dice il Prof. Caligiuri quando parla della società della disinformazione, “gli unici che non sanno di nuotare nell’acqua sono proprio i pesci”.
GC: A chi spetta il compito di difendere la democrazia e proteggere la popolazione dalle fake news e dalla manipolazione di massa? All’intelligence dei Paesi coinvolti?
AP: Ogni Paese cerca di difendersi come può, ma con scarsa efficacia, perché più le fake news che infettano la rete indignano e colpiscono emotivamente e più vengono condivise dagli utenti delle piattaforme social. Le notizie sono lanciate da migliaia di profili falsi, e condivise da persone in buona fede, che abboccano, moltiplicandone l’efficacia della disinformazione. La verità è che non abbiamo ancora capito come possiamo realmente difenderci da questa minaccia. Se ne parla, ci sono dibattiti ed anche commissioni parlamentari d’inchiesta, in alcuni Paesi, hanno studiato questa minaccia. Il Parlamento britannico, ad esempio, ha scritto nero su bianco che “le persone tendono ad accettare e a prestare fede alle informazioni che rafforzano le loro opionioni, per quanto distorte o inesatte esse siano. Ciò ha un effetto polarizzante e restringe il terreno comune su cui può avvenire il dibattito razionale, basato su fatti oggettivi…la struttura stessa della nostra democrazia è minacciata.” Alla fine dell’indagine la commissione ha preso atto che “l’attuale quadro legislativo non è più adeguato al compito”, ma non ha saputo indicare la soluzione per affrontare il problema. Francamente io non credo che gli strumenti che sono stati pensati sino ad ora siano davvero efficaci. Bisogna pensare qualcosa di nuovo. Non ho in mente una soluzione, ma trattandosi di una guerra credo che ci si dovrebbe attrezzare per combattere ad armi pari, e tentare almeno di mitigare l’efficacia degli strumenti che una potenza ostile sta utilizzando contro di noi.

 

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