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Una intervista all’Ing. T. Li Piani

A lato dell’ultimo convegno organizzato dall’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (I.A.S.S.P.), nella sede di Piazza della Repubblica a Milano, ho realizzato questa intervista in merito alle prospettive nazionali ed internazionali di sicurezza in ambiti urbani, con l’Ingegnere Li Piani, esperto di esplosioni e balistica all’agenzia Olandese TNO-Defense, Safety & Security e docente di anti-terrorismo.

GC: La guerra in Ucraina ha solo rimesso al centro della discussione pubblica e politica quanto i conflitti militari siano in aumento in tutto il mondo e quanto siano sempre più all’ordine del giorno. Questione che rimette al centro del problema anche la questione del terrorismo internazionale che rischia di tornare…

TLP: Se eminenti colleghi, tra accademici, scienziati e professionisti nel settore della difesa e sicurezza, sono sempre più assiduamente interpellati per condividere i trend, anticipare gli scenari, suggerire le strategie e sviluppare gli strumenti relativi alla previsione e mitigazione del rischio security in ambito urbano, significa in definitiva ed in via del tutto generale, che ogni profezia di pace e prosperità generalizzata sia ancora disattesa. Anzi, proprio quel ‘patto sociale’ alla base di una società pacifica e non belligerante rischia di venire quotidianamente infranto…

GC: …l’uomo continua ad essere ‘homini lupus’.

TLP: E le prospettive di benessere generalizzate si scontrano con realtà di sperequazione e disagio ad ogni latitudine. Così, le Società degli Stati contemporanei sono ancora condizionate, se non contagiate e del tutto immerse, in logiche di violenza e conflitto, che pure cambiano forma, sostanza e si adattano tanto allo sviluppo tecnologico quanto al mutamento degli scenari geopolitici.

GC: Risultando in cosa dunque?

TLP: Da una parte, le operazioni in zone di conflitto militare, le cosiddette OoA (Out of area operation), si stanno allontanando progressivamente dalle logiche delle tradizionali guerre di posizione ‘formali’ e mutano in fluide guerriglie urbane che si svolgono sempre più spesso in ambiti altamente urbanizzati dalla popolazione locale – civile e che si trascinano nel tempo con picchi improvvisi e ad alta intensità di ‘fuoco’. Per questo, quando parliamo di conflitti a bassa intensità, dovremmo precisare la parola ‘media’. L’altra faccia della medaglia è che la progressiva asimmetria del conflitti internazionali si trasferisce sempre più anche nelle città ‘occidentali’ traducendosi in serie di attentati ed attacchi ‘informali’.

GC: Intende che gli obiettivi non sono più soltanto target strategici ed infrastrutture critiche rappresentative del potere economico e politico e/o di egemonie straniere?

TLP: Sì, quanto anche obiettivi civili, soft target, per capirci, colpiti nella inerme quotidianità cittadina da attentatori sempre meno ‘formalmente’ affiliati e sempre più autonomi ed autodidatti nel reperimento e preparazione di ordigni ed armi casalinghe. La società civile è il dominio del nuovo rischio security e la destrutturazione della pacifica quotidianità  è il target ambito. Ad un livello pratico-operativo, la distinzione metodologica del trattamento della criminalità urbana e del terrorismo è destinata progressivamente a sfumare.

GC: Occorre proteggere il cittadino dunque, costantemente. Le città coinvolte in questi conflitti sono pronte a resistere a tali nuove minacce ad un livello ingegneristico?

TLP: Il design strutturale e la pianificazione urbanistica correnti riflettono le minacce di tempi passati. Cosi, la progettazione di nuovi edifici ad uso civile deve essere condotta oggi in conformità a puntuali standard anti-sismici. Dagli albori di una umanità antica, quando il terremoto era imperscrutabile manifestazione di  malevolenza ultraterrena e punizione divina, gli ingegneri possono oggi simulare il comportamento di realistici modelli tridimensionali rappresentativi di interi edifici sottoposti a sismi ‘artificiali’ creati al computer.

GC: L’Italia è stata pioniera in questo campo…

TLP: Facendo di necessita, virtù. Tuttavia, la maggior parte degli spazi ad uso civile così progettati non sarebbero invero di per se` necessariamente idonei a resistere gli effetti di una esplosione, derivante ad esempio da un attentato terroristico. Diversa la frequenza della sollecitazione e la risultante fisico-meccanica della interazione tra minaccia e struttura. Dopo decenni di relativa quiescenza, la ricerca scientifica nel campo della progettazione anti-terroristica e della ingegneria militare ha ripreso vigoroso impulso, anche a seguito di iniziative internazionali coordinate. Tuttavia, sussiste una ulteriore, fondamentale differenza nel trattamento delle due minacce. A differenza del terremoto, quella terroristica non è costituita solo da una componente meccanica (che possiamo chiamare l’input, come ad esempio la quantità di TNT di una bomba) bensì principia con il suo trasportatore (un carrier in inglese), un essere umano, che ne simula i tratti fisiologici e gli schemi di comportamento, agendo ed interagendo con gli altri esseri umani e con l’ambiente sin dalle prime fasi di un attacco, incluso nella sua pianificazione.

GC: Quindi è fondamentale l’analisi di scenario, giusto?

TLP: Esattamente, la decodifica spazio-temporale del comportamento umano è necessaria, inclusa nel discernimento del modus operandi anti-sociale in contesti altamente urbanizzati e densamente frequentati, che deve essere riconosciuto sin dalle fasi preliminari di un attacco. La credenza che l’uomo sia portatore di una originalità o unicità che sfugge a ogni modello quantitativo, che si sottragga a schemi matematici, che esuli da principi fisico-meccanici, viene progressivamente smantellata dalla sofisticazione di approcci predittivi-adattativi al rischio security sempre più olistici e multidisciplinari. L’ausilio dell’intelligenza artificiale a tal riguardo sarà sempre più efficace e tempestiva nel riconoscere i prodromi di un evento, se le verrà insegnato a collaborare con il team umano.

GC: Quali possono essere dunque le strategie difensive da cui partire nell’immediato? E poi, in dettaglio, a chi spetta la difesa della citta`? Ad esempio, è di questi giorni la notizia della espansione del portfolio di offerta in ambito security della multinazionale società di consulenza Ernst & Young, con l’inaugurazione di un nuovo ramo di risk management che si occuperà anche di trattare e gestire i crescenti rischi di incidenti dolosi in configurazioni complesse (sia cyber & physical).

TLP: E` una domanda complessa infatti. La responsabilità di proteggere la popolazione spetta in primis allo Stato. E i governi delle città europee devono evitare la tentazione di trasferire visibile (in)sicurezza nello spazio fisico della città, mediante la miope implementazione di strategie di progettazione adottate dai manuali di ingegneria militare nell’ambito di piazze urbane e siti turistici.  Criteri come la distanza di sicurezza o l’iper- rafforzamento del target, tornati in auge recentemente ma alla base di millenarie strategie difensive,  non sono automaticamente implementabili in siti urbani ‘occidentali’, in quanto non compatibili con principi di anonimità, criteri democratici di libero accesso e standard estetici di cui le città europee, specialmente in Italia sono (o dovrebbero essere) riflesso spaziale. Lo ricordano bene le Nazioni Unite, che richiedono che le città siano sicure e sostenibili resilienti ed inclusive. Invece, la sicurezza dovrà essere implementata mediante strategie di ingegneria sociale e tecniche di prevenzione ambientale, capaci di inibire la decisione che precede un evento criminale o mitigare i danni di un attentato mediante la manipolazione dell’ambiente e contestualmente volti a creare un senso di sicurezza psicologica in coloro i quali vivono la città senza intenzioni malevole. Le minacce da affrontare e le responsabilità da assolvere saranno sempre più simili a quelle che tradizionalmente, sono state attribuite alle amministrazioni statali preposte al mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico. Nel recente passato, troppo spesso le aziende sono state lasciate sole nella inderogabile individuazione, trattamento e gestione dei rischi security, che crescono e diventano sempre più complessi, interdipendenti, endemici. Nel prossimo futuro si dovrà tendere invece a processi di collaborazione e sinergia tra il settore pubblico e quello privato, cosi come auspicato anche dalla Commissione Europea, nella forma di Public-Private Partnership, ovvero tra le istituzioni del Paese e le strutture di security aziendale, tanto più efficaci quanto tempestivi e continui. A tal riguardo, agenzie e enti di consulenza che sapranno dotarsi tempestivamente di esperienze, competenze e visioni in ambiti strategici a supporto dell’impresa privata, saranno preziosissimi alleati anche dei governi nazionali nella gestione del crescente rischio security in ambito urbano, allorquando lo sviluppo e definizione di strumenti per lo scambio informativo e la cooperazione con la pubblica amministrazione e con i governi locali e centrali consentiranno di instaurare un processo simbiotico di cui, in ultima analisi, beneficerà il cittadino, ovvero l’intera comunità.

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